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Tuesday, August 4, 2009

Happyness con la Y



La ricerca della felicità
Devo ammetterlo. Io amo le storie edificanti.
Quelle vicende in cui la situazione di partenza è tragica, ma grazie ai buoni sentimenti e alla tenace volontà dei protagonisti tutto finisce per il meglio. Sono naif abbastanza per apprezzare ancora queste soluzioni, sono ingenuo a sufficienza per amare protagonisti perfetti e finali trionfanti.
Eppure La ricerca della felicità di Gabriele Muccino, pur adattandosi al modello dell'american dream e presentando personaggi che sono più simili a caratteri che a vere persone, fallisce nel suo tentativo di commuovere, coinvolgere ed elevare lo spirito.  
Ho capito che non sarebbe stato di certo il mio film preferito al minuto 2 di proiezione, quando fa la sua comparsa uno degli espedienti più biechi e anti-cinematografici a disposizione di un regista: la voce fuori campo. Il film è completamente raccontato dal protagonista stesso, che diventa così narratore onnisciente di una storia che si segnala come già conclusa e risolta fin dalla sua partenza. Non ho mai tollerato la voce-off: a volte è innegabilmente efficace (primo esempio che mi viene in mente Pomodori verdi fritti), ma altre volte, come in questo caso, diventa solo un mezzo manipolatorio e del tutto accessorio. Muccino non è un regista privo di talento, e secondo me non doveva cedere a questa scorciatoia. 
La mano del regista romano è evidente in molti punti: la narrazione veloce, il montaggio rapido, le sequenze lunghe, il generale tono melodrammatico, la direzioni degli attori che porta verso un accentuato manierismo nella recitazione. Parlando di recitazione, incontriamo un altro punto dolente del film: il casting.
Will Smith è senza dubbio un attore di talento e dalla vasta gamma interpretativa: dalla commedia al dramma all'azione, Smith è un attore su cui si può fare affidamento. Anche in questa pellicola dimostra le sue qualità, e in alcune sequenze è di un'intensità commovente. Eppure non riesco ancora a vederlo aderente al suo personaggio, la sua recitazione è perfino troppo intensa e moderna per il ruolo che porta: Chris Gardner (il personaggio) è raccontato in maniera molto monolitica e bidimensionale, e la sfumatura interpretativa di Smith è persino troppo vasta se rapportata alla piattezza del suo personaggio. Il problema dunque non sta in Will Smith, che ripeto, ha fatto un ottimo lavoro ed è anche troppo bello per la parte che interpreta, ma piuttosto in una sceneggiatura monocorde che dipinge il protagonista come un folle santo che si immola per il bene altrui: il protagonista non ha difetti, è talmente candido da essere piatto, astratto, irreale (da notare che si tratta invece di una storia vera). Un confronto in questo senso (povero che diventa ricco, american dream, dramma sociale, storia vera ecc ecc) può essere fatto con Erin Brockovich, che non solo è di gran lunga superiore, ma che considero uno dei migliori film edificanti di sempre.
Un commento speciale lo devo dedicare a Thandie Newton, che in questo film da prova di quello che effettivamente è, ovvero un attrice mediocre. Certo non aiutata dalla parte (la sua Linda è uno dei personaggi più odiosi e antipatici che abbia visto sullo schermo quest'anno), l'attrice britannica sbanda del tutto con il suo personaggio e da un'interpretazione completamente incoerente ed irritante all'ennesima potenza. Non so se esiste una parola in italiano equivalente all'anglosassone over-acting, ma questo è esattamente il suo caso: puro strafare in un eccesso melodrammatico fatto di mossette, faccine, boccuccie insopportabili. E non penso sia un caso che [SPOILER ALERT] il film voli più in alto dal momento in cui lei esce finalmente di scena [FINE SPOILER].
Ma la cosa che davvero mi ha fatto venire più di un punto di domanda in testa, è la generale ideologia che sta dietro al progetto. La ricerca della felicità è il titolo del film. Ed è curioso (ma anche tristemente sincero) come la felicità sia in questo caso il successo economico. La vicenda si svolge praticamente all'interno del mondo della finanza, nel mondo delle quotazioni, dei broker, delle percentuali, della borsa, e l'equazione dollari=felicità è un qualcosa in cui io non ho mai creduto e che francamente mi irrita. Certo, io sono il primo a evitare di indagare e a cercare un'ideologia dietro ad un film, perchè non mi piace caricare una pellicola di significati che vadano oltre il cuore, il cervello e il "sentire umano". Eppure in questo caso non ho fatto a meno di pensarci e di grattarmi la testa pensieroso..
Il film non manca però di momenti toccanti e che sanno di autentico. Anche grazie alla bellissima fotografia del sempre perfetto Phedon Papamichael, il rapporto tra padre e figlio (in questo caso, il ragazzino è il vero figlio di Will Smith) è tratteggiato con grazia e rispetto, e la chimica tra questi due personaggi/attori è palpabile, profonda, sincera.
 
The pursuit of happyness è un film vedibile, senza infamia e senza lode. E questo ahimè, è uno dei peggiori difetti del film stesso. Non ha carattere, non ha mordente ed è viziato da interpretazioni sbagliate, da una certa ridondanza, e da una strana ideologia di elogio al libero capitalismo che impregna tutta la vicenda. C'è di buono che sorprendentemente è meno zuccheroso e retorico del previsto.
 
C

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