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Saturday, September 12, 2009

PIUCCHEPERFETTO



LITTLEMISSSUNSHINE
Little Miss Sunshine è un piccolo miracolo.
Uno di quei film che hanno un loro proprio equilibrio assolutamente perfetto, dove niente è di troppo e tutto è essenziale. E' insomma quello che il cinema indipendente dovrebbe essere, un prodotto in cui la grazia, la leggerezza, la delicata dolcezza di fondo non si trasformano mai nè in ricercatezza estetica (vedi Lost in Translation) nè in intellettualismi (vedi Ghost World) in mieloso buonismo, ma dove tutto risulta così divinamente compatto e quadrato, anzi, un cerchio perfetto.
 
Forse quello che manca a questo film per diventare un "film per la vita" è proprio la capacità di osare, di sfondare il cerchio perfetto e diventare un poligono ignoto, la capacità di deprogrammare dall'interno la sua carineria per trasformarsi in un film con forte personalità. Ecco, se devo trovare un difetto, è proprio questa mancanza di personalità, dovuta sia alla giovane età dei registi, sia al fatto che sono appunto 2 registi che lavorano in coppia (Dayton & Faris): non c'è un autore, ma ci sono più autori, è fisiologico che venga meno una forte idea portante.
Ma in ogni caso il film è un adorabile trionfo, ed è un'ulteriore prova che il cinema medio ancora può funzionare e può convincere alla stessa stregua del film kolossal o di quello da festival.
 
L'asso nella manica di questa pellicola è il lavoro d'attori.
Lo si capisce fin dalla prima sequenza, quando la famiglia (e che famiglia) si riunisce intorno al tavolo. Non sono semplicemente tutti quanti attori straordinari, ma è proprio il lavoro di squadra che è il punto di forza della piccola. Sono attori che non lavorano come solisti, ma come veri e propri membri di un coro, di una comunità, di una famiglia. La piccola Abigail Breslin (già notata in Signs) è perfetta nel ruolo di Olive, una bambina di 10 anni fanatica di concorsi di bellezza: finalmente un attore-bambino che non prenderesti a schiaffi (Dakota Fanning, i'm talking to you), e dotata di una naturale propensione alla recitazione, straordinaria sia nei tempi comici perfetti che nelle scene drammatiche. Ma ad uscire dal gruppo è Steve Carell, che dopo averlo adorato in 40 Anni Vergine, con questo film entra di prepotenza nell'olimpo dei miei attori preferiti: semplicemente stupendo nel ruolo di un professore di letteratura, amante di Proust, gay, aspirante suicida. Toni Collette (In Her Shoes) potrebbe mangiarsi a colazione almeno l'80% delle sue colleghe, perchè è come sempre una garanzia di bravura e qualità. Completano il casto Greg Kinnear (che adoro fino alla morte), Paul Dano (stupendo), e il nonno Alan Arkin. I personaggi sono piuttosto stereotipati nella loro caratterizzazione, ma è tutt'altro che un difetto: i loro caratteri sono talmente estremizzati e così forti nella loro forma, che tentare di fornire loro una profondità psicologica avrebbe ridicolizzato la loro stessa essenza, e avrebbe oltretutto annulato ogni effetto comico: sono quasi archetipi, piccole silhouette che si muovono sul palcoscenico della vita.
 
Il film passa con velocità dai toni drammatici a quelli comici, se non davvero esilaranti: e riuscire a mantenere una patina di malinconia e di triste dolcezza anche durante le risate, è una dote che arriva prepotente fino al cuore dello spettatore. A riguardo in sala si sentivano giudizi contrastanti: io l'ho trovato assolutamente divertente e commovente, con un climax finale e una sequenza di chiusura da antologia (tutta giocata sulla bravura della piccola Breslin) divertentissimo. Altri spettatori invece hanno avertito una certa noia. Quindi suppongo che la comicità di questo film vada decisamente a gusti: certo, se vi sbellicate per Ace Ventura o American Pie, statene alla larga, vi annoierà e basta.
 
La pellicola insomma profuma di leggerezza, di gioia, di una triste malinconia in cui è bello lasciarsi andare. Cercare di spiegare quali sensazioni possa offrire un film è impresa ardua e fondamentalmente inutile, perchè ognuno reagisce a suo modo davanti ad uno schermo gigante. ma io sono uscito dalla visione con un piccolo fuoco dentro, con una strana e bizzarra gioia, con uno stupido amore per la vita. Le persone che gravitano intorno alla piccola Olive sono persone che non hanno nulla di eccezionale, anzi: un gay suicida, un nonno eroinomane, un padre disoccupato che ha fallito tutto nella vita, un fratello che adora Nietszche e ha fatto voto di mutismo, e una madre che tenta di tenere le redini di una casa in sfracello. Eppure è la sua famiglia, quella è la sua vita, una vita ricca di affetti. Little Miss Sunshine è un film che parla di famiglia, ma che soprattutto parla di cosa sia la famiglia: famiglia non singifica avere un padre ed una madre, non significa avere un camino o un tetto e un letto fatto. Famiglia significa avere l'amore delle persone che ci stanno intorno, significa un sorriso di persone sconosciute, una mano tesa, un aiuto inaspettato. La famiglia, un pò come la Vodafone, è tutta intorno a te, basta aprire gli occhi e lasciare andare le proprie zavorre. La famiglia è un inno all'amore. Little Miss Sunshine, a me, ha raccontato questo.
 
 
VOTO: B / B+
 


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